Si sente dire spesso, e si legge sui giornali di regime, che i pacifisti sono in questi mesi silenti, non agiscono, non scendono in piazza. Ciò viene loro attribuito come colpa e come occasione di derisione: non sono più capaci di agire o non vogliono più agire in un mondo divenuto troppo complesso e nel quale non è facile prendere posizione, visto che una miriade di soggetti (non solo gli stati) fanno ricorso a pratiche violente che possono essere definite con il termine “guerra”. Tale descrizione della situazione in cui versa il pacifismo nostrano non è però del tutto corrispondente alla realtà. Infatti assisteremo, nelle prossime settimane, ad un affollamento di iniziative, che seguono altre che pur vi sono state, anche se abilmente occultate dai media prevalenti e di regime: gli stessi media che poi rinfacciano ai pacifisti una presunta inazione.
Qui ci limiteremo a strutturare una sorta di tassonomia dei pacifisti contemporanei, senza fare riferimento all’ambito antimilitarista, che è ben altra cosa. Si tratta solo di una costruzione idealtipica: è ben possibile che un medesimo individuo o gruppo si possa inserire in più di una delle categorie che saranno qui sotto individuate e descritte.
Un primo tipo di pacifisti è quello che fa riferimento ai defunti Social Forum, in debole collegamento con gli stessi ambiti internazionali: si tratta, per esempio, di organizzazioni come l’Arci (e la sua affiliata Assopace in primis), che effettivamente hanno perso ultimamente un po’ di colpi. Tuttavia cercano di rimontare attraverso l’affiliazione a reti dirette da un numero molto ristretto di “specialisti”, che sono in grado di organizzare eventi di una certa portata come il raduno all’Arena di Verona dello scorso 25 aprile o come un simile raduno che si svolgerà a Firenze il 21 settembre. Da sottolineare che in questo ambiente si è generato nell’ultimo anno un conflitto tale che ha portato, tra le altre cose, alla contrapposizione tra l’appena citata manifestazione fiorentina e la tradizionale marcia Perugia-Assisi che si svolgerà in ottobre.
Un secondo tipo di pacifisti è quello costituito da brave persone “di sinistra”, per lo più piddini ma non solo, che ritengono che la pace possa essere meglio raggiunta attraverso l’intervento di due mega-istituzioni che hanno dato prova in passato di grande “abilità” ed hanno conseguito enormi “successi”: l’Unione Europea e l’ONU. Attraverso la forza esercitata da questi organismi, per esempio grazie alla creazione di un vero e proprio esercito europeo, la pacificazione sarebbe a portata di mano. Singolare è che in questo raggruppamento allignino pure alcuni soggetti che si definiscono nonviolenti assoluti. Tuttavia è comprensibile: pure il nonviolento Gandhi (profeta dei soggetti che stiamo descrivendo) aveva a suo tempo sostenuto la sovranità violenta (come ogni sovranità) del neonato stato indiano.
Arriviamo alla terza categoria: quella dei seguaci di papa Francesco. Il papa buono del 21° secolo ha fatto la sua “rivoluzione” dottrinale: ha demolito implicitamente il plurisecolare concetto di “guerra giusta” per sostituirlo con un vago “fermare senza bombardare”. Si tratta di uno scatto comunicativo discreto rispetto all’implicita autorizzazione ai bombardamenti nei territori dell’ex Jugoslavia che era scaturita dalla dottrina e dalle parole di Giovanni Paolo II. Tuttavia non è ben chiaro che cosa Bergoglio intenda con le sue parole, che incontrano sicuramente alcune difficoltà tecniche (come fai a fermare uno che bombarda senza bombardarlo a tua volta?) e che vanno poi a parare con un rituale affidamento alla capacità presunta dell’ONU di interporsi e pacificare.
In una quarta categoria annoveriamo i nuovi nazional-bolscevichi, i quali, in spirito perfettamente campista, hanno individuato l’unico responsabile della guerra nel mondo: il Diavolo Amerikano. Di conseguenza è contro di esso che bisogna agire in ogni dove, magari affidandosi a personaggi armatissimi che, come il duce Putin, possano fermare sul bagnasciuga i perfidi anglosassoni, che godono istintivamente nel generare guerre e nel ricercare il dominio nel mondo a danno di tutti gli altri popoli, che altrimenti sarebbero composti da pacifici agnellini.
In una quinta categoria, seppur impropriamente, possiamo inserire gli anglosassoni di cui sopra (soprattutto gli inglesi), che da sempre accolgono rifugiati politici e ceffi violenti di ogni genere sul loro territorio, salvo poi accorgersi che si tratta di pericolosi terroristi da combattere (o da usare per i propri fini di potenza di seconda categoria, mosca cocchiera degli USA). Singolare poi la persistente azione negli ultimi decenni di cittadini britannici che si recano oltremare a combattere le più disparate guerre, sul modello del loro Lawrence, paladino dei deboli contro i tiranni e gli imperi diversi da quello anglosassone. Non c’è che dire: gli inglesi ed i loro estimatori, presenti in abbondanza pure tra i liberal nostrani, sono dei veri sportsman (e sportswomen).
La sesta categoria, quella più ambigua e affascinante per chi pensa di essere sempre sull’orlo della rivoluzione decisiva, è composta da antagonisti di vario genere che sentono sempre il bisogno di schierarsi. Essi assumono la posizione di una delle parti in conflitto, quella apparentemente soccombente o comunque in maggiore difficoltà; di conseguenza condividono la posizione politica e strategica di una parte in conflitto: ciò fa sì che venga demonizzata l’altra parte, che viene raffigurata come criminale assoluto e da contrastare. Da contrastare con le armi della propaganda e con l’invito alla fine della guerra e al ristabilimento della pace (se si riesce), oppure addirittura con la definizione di un’eccezione. Seguiamo questo tipo di pacifista nel suo ragionamento: siccome il mio amico, affine a me per ideologia o etnia o stile di vita o magari anche solo per il look, non riesce a districarsi da solo da quella che io definisco un’aggressione criminale, siccome gli inviti alla pacificazione non funzionano, allora autorizzo il mio amico (la vittima, l’oppresso, dal mio punto di vista) ad usare la forza armata per difendersi, ad uccidere per liberarsi, a massacrare (con fair play) per sostenere la sua posizione da me condivisa. In tal modo io stabilisco un’eccezione a quanto avevo definito in linea di principio: ritorno al concetto tradizionale di “guerra giusta”, seppur modificato così da poterlo applicare anche ad entità diverse dagli stati o da altri soggetti sovrani. In tal modo posso pure dire che la strada verso la pace (magari anche verso la nonviolenza assoluta) passa per un realistico approccio, che continua a prevedere l’uso delle armi e l’uccisione del nemico visto come aggressore, criminale, estraneo alla solidarietà ed all’empatia che si deve agli esseri umani (quindi addirittura come un “non essere umano”): dal pacifismo ideale si passa quindi facilmente al bellicismo etico giustificato con paralogismi notevoli.
Un’ultima categoria di pacifisti (involontari, poco ideologici, nonviolenti anche loro malgrado) è costituita da tutti i disertori delle guerre e dagli esseri umani che a milioni fuggono dalle loro case, dalle città e dalle campagne divenute campi di battaglia: si tratta di coloro che rifiutano in modo debole, poco eroico, umano, misero, impolitico, gli orrori di tutte le guerre.